«Sprecare un bene significa, per chi compie quell’azione, che quel bene non ha più valore. E una società dove il cibo non ha un significato nutrizionale, economico, ambientale, sociale, culturale, storico, conviviale, emozionale è davvero arrivata al capolinea o, più propriamente, alla frutta.»
Secondo l’ultimo rapporto curato da Last Minute Market con SWG lo spreco alimentare domestico – il cibo ancora buono che finisce direttamente nei rifiuti – vale lo 0,5% del PIL, quasi 9 miliardi di euro. Mentre l’ISTAT conta oltre 9 milioni di italiani che vivono e si alimentano sotto la soglia di povertà relativa. Mille euro di spese alimentari a testa, se la matematica non fosse un’opinione e il cibo si potesse effettivamente recuperare. Per invertire concretamente la rotta, come spiega in questo pagine Andrea Segré, occorre trovare un equilibrio tra due sostantivi che sono alla base dello stare al mondo: sostenibilità e rinnovabilità, ovvero durare e rigenerare. E per farlo occorre seguire un’ideale “tavola delle leggi” fatta da dieci “ingredienti”: non sprecare; recuperare; azzerare; prevenire; mantenere; rifiutare ma anche riciclare; circolare; sostenere; rinnovare; e valorizzare. Mettere in pratica questi “nuovi comandamenti” significa applicare la nostra intelligenza ecologica e la sua versione alimentare e prendere consapevolezza degli effetti delle nostre abitudini e delle nostre azioni sugli ecosistemi e sui sistemi economici e sociali. Perché la sfida del futuro è legata al riconoscimento di essere parti integranti di un unico Pianeta, connessi a ogni altra forma vivente.